Citazione

La fondazione

La biblioteca comunale era un oggetto sconosciuto per una città nella quale, finite le scuole elementari, i ragazzi avevano come sbocco scolastico obbligatorio l’“Avviamento professionale”, ospitato nella parte centrale dello Scolastico di corso Umberto. Dal dopoguerra sino ai primi anni Cinquanta, quando nacque la scuola media parificata ed itinerante, con sede prima in un appartamento di una palazzina di via Sassari poi in via Roma, in quello che sarebbe diventato, nel tempo, prima l’edificio dell’Istituto professionale poi delle elementari e infine delle materne. Le medie presto diventarono una scuola statale e fatalmente l’Avviamento, col suo mitico preside, Silvio Mattioli, studioso attento e puntuale delle antichità sarde, scomparve, cancellato dalla riforma scolastica. In seguito arrivarono prima il liceo classico, poi l’istituto tecnico, poi lo scientifico ed infine le varie scuole professionali.

Ma la biblioteca continuava ad essere un oggetto sconosciuto. Unico surrogato era costituito dal Centro di Lettura, affidato a Sebastiano Mastroni, indimenticabile maestro di Oliena, segretario dell’unica direzione didattica cittadina, che nel suo ufficio trascorreva praticamente l’intera giornata. Poche centinaia di volumi, quelli che passava il convento, messi in bella fila in pochi armadi negli uffici della segreteria. Un registro per i prestiti, un orario legato al ritmo delle lezioni dei corsi della scuola popolare, per i giovani unica alternativa al girovagare senza meta per il corso deserto. Ad Olbia non c’era una libreria. O meglio le librerie Putzu e Santucci, operante anche come tipografia, si riempivano di libri scolastici solo su ordinazione all’inizio dell’anno scolastico. Sugli scaffali poche decine di volumetti grigi della Bur, diventati ormai merce da bibliofili. Ed anche per questa ragione “zio Bustianu” accoglieva nel suo ufficio anche il lettore esterno alla scuola popolare. Per i più fedeli, come premio a fine anno, c’era il “Leonardo”, un annuario che raccoglieva in pillole tutto lo scibile per il popolino. Per molti il Centro finì per diventare un punto d’incontro, soprattutto nelle lunghe serate d’inverno. Poi il Centro venne soppresso e fu black-out. Di biblioteca si parlò nei primi anni Settanta. Prima una delibera della Giunta municipale, più che altro una dichiarazione d’intenti. Poi un sussulto di buona volontà. Nel 1973 un ordine di servizio dell’assessorato mobilitò una squadra di operai che buttò giù pareti ed aprì porte nel poliambulatorio di via Acquedotto Romano. Ne ricavò due salette, un paio di bagni ed uno stanzino. I pochi libri chiusi da qualche tempo in un armadio dell’ufficio del sindaco cambiarono domicilio e finirono nell’ex poliambulatorio. Partirono lettere a raffica, per le più disparate destinazioni, con la richiesta di volumi in dono. Molti libri arrivarono dall’Usis, un ente che, nel dopoguerra, si occupava della diffusione della cultura a stelle e strisce. Il Consorzio della Costa Smeralda regalò la Treccani. In biblioteca arrivarono anche molti pacchi di privati cittadini. Insomma fu una sorta di pesca miracolosa. E per due anni una decina di ragazzi delle vicine scuole medie, tutte le sere, si ritrovò nella saletta di via Acquedotto Romano per catalogare volumi e compilare schede. Poi sulla facciata la targhetta in marmo. All’inaugurazione una relazione di Manlio Brigaglia docente dell’università di Sassari ed un rinfresco spartano del quale nessuno pagò il conto. Era nata la biblioteca comunale.

Articolo di Alfonso de Roberto